venerdì 11 gennaio 2013

Certificati di credito fiscale (CCF) per combattere la crisi


Ho il piacere e l'onore di pubblicare i momenti salienti di un'intervista che a breve vedrà la luce. L'intervistato è Marco Cattaneo, il quale si occupa di investimenti in PMI imprenditoriali (private equity). Quindi una persona che sul campo ha visto il delinearsi e l'evolversi della crisi economica che ancora adesso ci attanaglia.

D. Allora Marco, come definisci questo tuo progetto CCF, Certificati di Credito Fiscale ?

R. Uno schema di riforma del sistema monetario europeo, che agisce sulla tassazione del lavoro e utilizza un nuovo strumento monetario.



D. OK questa è la definizione… tu condividi l’opinione che l’euro ha causato la crisi.

R. Sì, e non l’eccesso di debito pubblico. Il rapporto debito pubblico / PIL italiano nel 2011 era intorno al 120%, come nel 1995. Nel frattempo USA, Francia, Germania, Inghilterra dal 50-70% sono saliti all’80-100%. Il Giappone dal 90% al 240%. In realtà abbiamo accorciato le distanze. Se il debito / PIL 1995 non era un gran guaio, perché lo è diventato nel 2011 ?



D. Ma nell’estate 2011 i tassi si sono impennati…

R. Il famoso spread. Da qui il sillogismo: se il debito è costoso, significa che è troppo alto. La priorità quindi è ridurlo.



D. E invece ?

R. Invece il fenomeno è un altro. Dall’introduzione dell’euro nel 1999, i costi di produzione e l’inflazione dei paesi nordeuropei sono stati più bassi di quelli del sud. Il delta medio non è stato enorme, poco più di un punto. Ma il cumulo ha prodotto una differenza del 20% circa.



D. Non è un merito dei tedeschi e dei loro vicini ?

R. E’ il frutto di una maggior disciplina, possiamo chiamarla organizzazione, efficienza, moderazione salariale, alcuni dicono compressione di diritti della forza lavoro. Non è una novità comunque, il Nord Europa ha sempre avuto un’inflazione più bassa rispetto al Sud. In passato infatti le monete del Nord si rivalutavano periodicamente.



D. Con l’euro invece…

R. Con l’euro si sono prodotti sbilanci commerciali e quindi accumuli di crediti finanziari del Nord verso il Sud. A un certo punto nei creditori è insorto il dubbio che il Sud finisse per diventare insolvente.



D. Ma è un problema di eccesso di consumi al Sud ?

R. Sì, ma non è una storia di formiche e di cicale. Se il Sud diventa meno competitivo produrre lì conviene di meno. Se il Nord accumula eccedenze le deve impiegare, e dove ? finanziando consumi al Sud. Se mi riesce difficile produrre ma mi finanziano per consumare, produco meno a parità di consumi – non perché sono uno scialacquatore ma perché incentivi e disincentivi portano a quello.



D. A un certo punto i creditori cominciano a temere che i soldi non torneranno indietro…

R. O ne torneranno meno, perché ci saranno dei default, o il Sud dovrà abbandonare l’euro e convertire i debiti in moneta svalutata. E il timore riduce le quotazioni del debito del Sud. Un BTP o un Bonos spagnolo per esempio a fronte di un valore di rimborso di 100, cala a 80.



D. E quando devo emettere nuovi titoli…

R. …li colloco a 80 e il costo effettivo del debito sale.



D. Sono andati in crisi i paesi dove i costi erano cresciuti, non necessariamente quelli con il rapporto debito pubblico / PIL più alto.

R. Infatti in Spagna e in Irlanda il debito pubblico era molto basso.



D. Le azioni promosse dall’Unione Europea e dal Governo Monti non sono state un successo.

R. Si è agito come se i problemi maggiori fossero il finanziamento del debito pubblico e l’eccesso di spesa: tagli e tasse a fronte della promessa di intervenire per calmierare il costo del debito, con i vari LTRO, ESM, OMT.



D. Lo spread è sceso…

R. Prima quando con l’LTRO la BCE ha fornito alle banche, italiane e spagnole soprattutto, soldi per comprare grosse quote di debito pubblico. Esaurito l’effetto, nell’estate 2012 si era tornati ai livelli “ante-Monti”. Draghi ha allora annunciato l’OMT, un programma che mette a disposizione risorse illimitate per calmierare il costo del debito pubblico, a fronte di impegni da meglio precisare che consisteranno comunque in ulteriori tagli e tasse.



D. Tutte queste politiche di austerità comprimono consumi, domanda e produzione.

R. Il PIL è caduto del 2,5%, nel 2013 calerà ancora e non c’è inversione di tendenza in vista.



D. L’euro è all’origine del problema. Tu però proponi una cosa diversa dall’uscita dall’euro.

R. L’euro è all’origine del problema perché manca di flessibilità. Paesi diversi hanno dinamiche di prezzi e costi diversi. Le valute nazionali e i cambi flessibili erano l’ammortizzatore che compensava gli squilibri, il riduttore – direbbe un ingegnere meccanico – che trasmetteva il movimento senza sfridi tra ingranaggi che ruotano a velocità diverse.



D. Si dice: con le valute nazionali i paesi in difficoltà svalutano il cambio, con la moneta unica devono svalutare i salari.

R. E svalutare i salari è una strada lunga, dolorosa, iniqua, antisociale. E destinata a fallire, perché crea un circolo vizioso: tagli, tasse, meno consumi e produzione. Il gettito dovuto alle maggiori tasse viene eroso dal calo di base imponibile, il credito si blocca, le imprese non hanno risorse per investire e diventare più efficienti. Anzi spesso delocalizzano o chiudono.



D. Fin qui, parli come chi non vede alternativa, per i paesi in difficoltà, all’uscita dall’euro.

R. Per lungo tempo ho pensato che fosse una via obbligata. Ma in effetti, oltre a svalutare la moneta o svalutare i salari, una terza possibilità per riequilibrare i costi tra Nord e Sud c’è: abbassare la fiscalità sul lavoro.



D. Il cuneo.

R. Esatto. Proposte ne stanno circolando, ma gli importi di cui si parla fanno sinceramente ridere. Centinaia di milioni, uno o due miliardi. Numeri irrilevanti rispetto al problema.



D. Quali sono gli ordini di grandezza necessari ?

R. In Italia i costi di lavoro lordi annui sono quasi 1.000 miliardi di euro. Al netto di tasse e contributi, i lavoratori ne percepiscono circa 500. Bene, immagina un intervento che abbatte del 10% il costo lordo per l’azienda – 100 miliardi - e aumenta del 10% il reddito netto per il dipendente – 50. Sono 150 in tutto.



D. Ma come finanzi questi 150 miliardi ?

R. Qui entra in gioco lo strumento tecnico, i Certificati di Credito Fiscale - CCF. Aziende e dipendenti continuano a versare gli stessi euro di prima per tasse e contributi. Ma ricevono nello stesso tempo questi CCF.



D. Per il 10% degli importi, dicevi…

R. Immagina che il tuo stipendio netto sia 30.000 euro all’anno, mentre al lordo di tasse e contributi al tuo datore di lavoro ne costi 60.000. Tu dipendente continui a percepire i 30.000, e in aggiunta lo Stato ti assegna un Certificato per 3.000 d’importo. L’azienda continua a pagare in tutto 60.000, ma lo Stato italiano gli assegna un Certificato per 6.000.



D. Va bene, e con questi Certificati che cosa facciamo ?

R. I Certificati sono utilizzabili per qualsiasi pagamento dovuto allo Stato, a partire da due anni dopo la loro emissione. Ad esempio, nel 2013 ti arrivano Certificati per 3.000 euro. A partire dal 2015, potrai usarli per pagare tasse, imposte, ticket sanitari… perfino multe.



D. In un certo senso è un forte sgravio fiscale sul lavoro, ma con effetti differiti.

R. Esatto. Però lo sgravio assume le vesti di un titolo, che può essere negoziato. Se non ho bisogno dei soldi subito, mi tengo i Certificati. Se no li vendo: poiché hanno un valore certo, realizzabile a due anni, sarà possibile comprarli e venderli alle condizioni di un titolo di Stato, con uno sconto basato sugli interessi di mercato.



D. Hai detto che i Certificati sono uno strumento monetario, che cosa intendi ?

R. Se lo Stato emette titoli che si impegna ad accettare per qualsiasi pagamento, si tratta a tutti gli effetti di moneta. L’unica differenza rispetto al contante tradizionale è che l’utilizzo è spostato nel tempo, di due anni come dicevo.



D. E perché questo differimento temporale ?

R. Perché nel momento in cui vengono utilizzati, i Certificati riducono gli incassi statali. Questo non è un problema se nel frattempo il livello dell’attività economica, il PIL, è cresciuto, e quindi ci sono maggiori introiti che compensano l’utilizzo dei Certificati.



D. Sei convinto che l’introduzione dei Certificati di Credito Fiscale produrrà una forte ripresa.

R. Certo, in quanto ci sarà una forte riduzione dei costi aziendali, quindi maggiore competitività, e insieme molto più potere d’acquisto per i singoli. Questo produce in tempi molto rapidi una crescita di domanda sia interna che estera.



D. Come fai a esserne così certo ?

R. Guarda cos’è successo da novembre 2011 a oggi. Monti ha aumentato le tasse e immediatamente c’è stata una caduta pesante di domanda, consumi e produzione. Qui si agisce esattamente nel senso inverso.



D. In pratica, stai finanziando un abbassamento delle imposte emettendo qualcosa di equivalente alla moneta.

R. Proprio così. Si tratta però di una “simil-moneta” utilizzabile nei confronti dello Stato italiano, non in tutta l’area euro. La Germania e gli altri paesi del Nord non hanno una situazione di domanda depressa, quindi non servono azioni di stimolo lì.



D. Però fammi capire… lo Stato italiano si impegna ad accettare questi Certificati in futuro… non è una forma di debito ? l’Unione Europea non ce lo contesta ?

R. No, perché l’Italia non si impegna a rimborsare i Certificati in cash, ma solo ad accettarli in pagamento: la differenza tra debito e moneta è proprio questa. D’altra parte il tema chiave, per i partner europei e i mercati, è la capacità di soddisfare il debito da pagare cash. La ripresa dell’economia migliora fortemente questa capacità.



D. L’Unione Europea oggi viene vista come un cerbero, un controllore severo…

R. Non mi farei paranoie. Le pressioni che ci sono state fatte, chiamiamole imposizioni se vogliamo, sono andate di pari passo con nostre richieste, o con necessità di garanzie, di interventi della BCE. Qui non stiamo chiedendo nulla a nessuno, stiamo introducendo uno strumento di gestione della nostra economia.



D. Dopo i primi due anni, l’utilizzo dei Certificati ridurrà le entrare fiscali. Effetto però compensato dai maggiori livelli di attività economica, dici tu. Se così non fosse saranno necessari degli interventi.

R. Questa comunque è una responsabilità dei singoli Stati. L’unione fiscale, la transfer union non esistono. Si dice: ogni Stato deve fare ordine in casa propria. Bene, ma allora deve anche dotarsi degli strumenti per portare l’economia a regime. Perché è socialmente, economicamente giusto, e anche perché la miglior tutela dei creditori è che i paesi finanziati tornino a sani livelli di attività e di sviluppo economico.



D. Hai una stima del recupero di PIL consentito dall’introduzione dei Certificati ?

R. Stiamo parlando di emissioni annue per circa 150 miliardi, poco meno del 10% del PIL italiano. Guarda caso, questo è anche il cosiddetto “output gap”, la differenza tra PIL effettivo e PIL potenziale, quello che avremmo in buone condizioni di attività economica – quelle del 2007 per esempio. E’ il recupero a cui si può puntare in un paio di anni.



D. Quando si è formato questo “output gap” ?

R. Nel 2009, quando il PIL è sceso del 5% per la “crisi Lehman”, e nel 2012,  -2,5% a causa delle politiche di austerità. In questi due anni si è perso il 7,5% quando, anche a essere pessimisti, l’economia italiana dovrebbe svilupparsi a tassi medi oltre l’1% annuo, grazie alla crescita demografica, all’innovazione tecnologica. Tra 2009 e 2012 si è perso il 10% rispetto al trend, senza recuperi significativi negli altri anni. Nel 2013 abbiamo forti probabilità di accumulare un altro 2% di ritardo.



D. L’intervento sul cuneo fiscale svolge funzioni simili a un riallineamento valutario…

R. Sì, perché in un sistema di cambi flessibili, i paesi più competitivi rivalutano. Questo riequilibra i costi di lavoro per unità di prodotto. Qui otteniamo un effetto analogo per un’altra via.



D. Sembra la macchina del moto perpetuo…

R. In realtà l’Italia può introdurre questa innovazione proprio perché ha già effettuato forti interventi su pensioni, IVA, benzina, IMU. Queste azioni hanno senso se dall’altro lato si sgrava il lavoro: utilizzo risorse prelevate da consumi e patrimoni per ridurre la fiscalità sul lavoro e renderlo più competitivo. Monti ha fatto la prima cosa ma non la seconda, ha somministrato la medicina amara ma non il ricostituente…



D. Gli mancava lo strumento, i Certificati di Credito Fiscale…

R.  Sì, e partiva dal presupposto che il problema di brevissimo termine dei conti pubblici fosse di gran lunga il più importante. Invece non c’è soluzione stabile se non si risolve il tema competitività.



D. Bene… a questo punto una domanda: perché preferisci questa soluzione rispetto all’uscita dall’euro, pura e semplice ?

R. Guarda, mi è perfettamente chiaro che l’euro è nato con difetti strutturali, e infatti tanti prestigiosi economisti hanno previsto con anni di anticipo quello che sarebbe accaduto. Vorrei svegliarmi domattina scoprendo che è stato un brutto sogno, che l’unione monetaria non si è mai fatta… Però c’è e il punto diventa: qual è la via più facile per ridare flessibilità al sistema e renderlo efficiente ? Permettimi una precisazione.



D. Prego.

R. Non ho dubbi che l’uscita dall’euro sia attuabile: gli impatti negativi di cui si continua a vociferare – crollo dell’economia, megainflazione – sono pure fantasie. Esistono però gruppi di interesse molto forti che remano contro. Puoi dire che “non è giusto”, ma la loro capacità di influenza, di blocco, è forte. Il rischio è che si prosegua con la logica dei “cerotti”, del fare il minimo per tamponare gli effetti negativi e tirare avanti, senza risolvere le cause. E’ quanto temono ad esempio George Soros e Paul Krugman: si va avanti anni con un’economia italiana, anzi del Sud Europa, che non crolla, non c’è default sul debito pubblico, ma rimane permanentemente depressa, con alti livelli di disoccupazione, di malessere sociale.



D. E questi gruppi d’interesse…

R. In sintesi sono tre, vediamoli uno alla volta spiegando perché la soluzione Certificati di Credito Fiscale è molto più accettabile, per loro, rispetto alla rottura dell’euro.

Il primo sono gli organismi europei, la commissione, la BCE. Non dico che il progetto Certificati li entusiasmerà perché ricrea autonomie a livello nazionale. Loro spingono il disegno di centralizzazione, il “più Europa”… Però è enormemente meglio del break-up dell’euro – per esempio, per la BCE meglio un euro riformato che un euro che scompare !



D. Poi ci sono i creditori internazionali, immagino.

R. Naturalmente, e per loro tutto quello che riduce il rischio di default di singoli stati, o di fuoriuscite che implicano il rimborso in una moneta svalutata, evidentemente è positivo.



D. Fammi indovinare, il terzo gruppo sono gli industriali tedeschi, del Nord Europa. Loro non vedranno di buon occhio il Sud che torna competitivo.

R. Ma ancora una volta il confronto è tra due scenari, la riforma “morbida” del sistema e l’euro che si spezza. Nel secondo caso si trovano con una moneta – Euro Nord, Euro Residuo, Nuovo Marco – rivalutata e perdono competitività verso il resto del mondo.  Con la riforma “morbida”, no.



D. Perdono però competitività nei confronti del Sud.

R. Ma i surplus commerciali Nord-Sud già si stanno riducendo, quindi anche lo status quo non è più così interessante.



D. La riduzione degli squilibri non indica che i problemi si stanno risolvendo ?

R. No, perché è dovuta al Sud che è caduto in depressione economica e ha contratto pesantemente l’import. Gli scambi devono equilibrarsi, ma a fronte di un buon livello di attività economica, non perché il PIL dei paesi deficitari crolla. Il progetto Certificati rende le aziende del Sud più competitive e nello stesso tempo aumenta il potere d’acquisto interno. L’Italia esporterà di più ma comprerà anche di più, incluso dalla Germania. Ci sarà un riequilibrio commerciale, ma a livelli di attività ben più alti.



D. Hai detto aziende del Sud, Sud Europa immagino, non solo Italia.

R. Sì: i Certificati possono essere introdotti in tutti i paesi in deficit di competitività rispetto al “centro”, alla Germania in primis. Ogni nazione può adattare l’intervento alla sua situazione e ai suoi delta di costi di lavoro per unità di prodotto. I paesi chiave oltre all’Italia sono la Spagna e anche la Francia, che è in una situazione intermedia tra Italia e Germania e dovrebbe quindi attivare lo schema Certificati, ma in proporzioni meno accentuate.



D. Forse la Grecia ha una situazione troppo pesante per essere recuperabile…

R. In Grecia servirà, credo, un ulteriore intervento sul debito. Comunque se si ripristina una maggiore competitività sarà possibile renderla almeno parzialmente solvibile. Oggi si continua a negare l’evidenza. Ogni x mesi ci si accorda su tagli di interessi, allungamenti di scadenza eccetera con l’economia che va sempre peggio, senza alcun segnale di svolta.



D. Alla fine avremo un sistema sostenibile ed efficiente.

R. Ne avremo creato le condizioni, perché si sarà introdotta una leva di intervento, di flessibilità che permette di armonizzare le varie situazioni. Avremo fatto uscire l’Italia e il Sud Europa dalla depressione. E rimosso il maggior fattore di instabilità economica che esiste oggi nel mondo, non solo in Europa.

domenica 6 gennaio 2013

Per tutti quelli che "se usciamo dall'euro la cina ci schiaccerà!"

La Cina, o anche China, è divenuta spauracchio ed arma segreta del luogocomunista piddino. Ogni qual volta si incomincia un dibattito sulla possibilità o meno di uscire dall'euro, dopo aver enunciato inflazione alle stelle, materie prime costosissime, cavallette, cavalieri dell'apocalisse, ecco arrivare l'asso nella manica. L'arma segreta che annichilirà tutto e tutti. LA CINA (caps lock attivato di proposito). La tesi di fondo del piddino è che nel momento in cui uscissimo dall'Unione Europea, e quindi dall'euro, non potremmo più competere con i cinesi. Solamente rimanendo nel grembo europeo potremmo affrontare le dure sfide future lanciate dai BRIC(S).

Ma scusate un attimo. Una domanda, semplice. Chi è la Cina? Non è quella nazione in cui la politica economica del paese viene gestita direttamente dall'apparato statale? Non è quella nazione che, seppur non ricchissima di materie prime, è considerata tra le economie più potenti del globo? Non è quella nazione in cui si ritiene che esista la castacorruzzzzionecomunista? Non è per caso, ma potrei sbagliarmi, quella nazione in cui il renminbi viene tenuto appositamente deprezzato per favorire le esportazioni? Quindi ora mi chiedo, serenamente e pacatamente (come direbbe Marzullo): ma se uscissimo dall'euro non faremmo esattamente quello che la Cina sta facendo da anni? E se la Cina lo fa e gli riesce pure bene, noi di cosa dovremmo aver paura? Prima di adottare l'euro come moneta unica non mi pare che fossimo una nazione da terzo mondo. Eravamo, nonostante tutto, parte del G7, ossia delle nazioni maggiormente industrializzate. Non eravamo padroni del nostro destino, con la tanto odiata liretta, quando Banca d'Italia finanziava, comprando titoli, direttamente dal Tesoro? Nei momenti di difficoltà semplicemente andavamo a svalutare la nostra moneta. Semplicemente per riacquistare competitività. Quando avevamo la lira non mi pare che non fossimo competitivi con i giganti di allora: USA, Giappone, la stessa Germania. Purtroppo oggi la svalutazione è immorale. Scusate. La svalutazione del cambio è immorale. Mentre invece non è considerato immorale la svalutazione dei salari. Conviene ricordarlo sempre. Se adotti un cambio fisso e necessiti di riacquistare competitività sul mercato, non puoi svalutare la tua moneta. L'unica cosa che puoi svalutare sono i salari.
Se svalutare il cambio è immorale, allora rivalutare sarà cool. Perchè allora tutti evitano di farlo? Perchè la Cina, e la stessa Germania, hanno sempre evitato rivalutazioni del cambio?

BTW risulta pressochè impossibile entrare nei gangli dei ragionamenti piddini. Forse perchè diventa incomprensibile il motto "la strada sbagliata ci porterà nel posto giusto". Non potremmo semplicemente prendere la strada giusta?

mercoledì 26 dicembre 2012

La presa dello scettro europeo della coppia "Merkameron"

La crisi economica divora governi al tal punto che i sopravissuti, sovente, dimenticano coloro che sono caduti precedentemente. La poltrona del presidente o del primo ministro uscente non fa in tempo a raffreddarsi quando un'altro occupa subito il posto. Colui che eredita la poltrona non sempre ha diritto agli stessi privilegi del suo predecessore. Tantomeno nei suoi rapporti con gli altri partner europei a Bruxelles.

Ciò è accaduto all'asse franco-tedesco. Solo 6 mesi or sono le urne francesi spazzarono via il superpresidente Sarkozy dall'Unione Europea ma, la sua vecchia compagna geostrategica, ha già incontrato un nuovo cicisbeo. Molto più giovane e liberale del suo predecessore. Ma anche più euroscettico e senza accento francese!

Ovviamente il suo nome è David Cameron. Sembra che la sua figura stia andando a ricoprire il vuoto non colmato da Francois Hollande. Infatti il nuovo presidente francese si è decisamente allontanato dalla cancelliera tedesca da quando salì al potere lo scorso maggio.

Angela Merkel non da l'impressione, però, di voler proseguire in solitaria, a livello europeo, la parte finale della legislatura alemanna, che si concluderà con le elezioni generali del prossimo ottobre 2013. Davanti all'impossibilità di stringere un'alleanza con Hollande, la cancelliera sembra voler sostenere un asse Merkameron che sia di rilievo, dopo la caduta di Sarkozy. 

La crescente collaborazione tra Londra e Berlino si è rafforzata nelle ultime settimane. Alcuni analisti di Bruxelles ipotizzano che sarà il binomio vincente del 2013.

Il gesto di "amore" più recente, che ha fatto scaturire l'allarme tra i partners europei, ebbe luogo durante la fase di negoziazione per la supervisione bancaria a livello europea, raggiunta nella mattinata del 13 dicembre scorso. L'accordo incluse una riforma dell'Autorità Bancaria Europea (organismo incaricato del controllo bancario) che, contro la proposta dell'Unione Europea, concere a Londra una sproporzionata capacità di influenzare. Il ministro delle finanze tedesco,
Wolfgang Schäuble, ha appoggiato apertamente questa risoluzione, nonostante ciò mini l'unità dell'euro, secondo Bruxelles.

Questa non è stata la prima volta che Berlino è andata  in soccorso di Londra, sempre più sola a livello europeo. Durante la negoziazione del bilancio comunitario del 2014-2020, la cancelliera tedesca frenò qualunque tentativo di soggiogamento verso Cameron. Infatti la cancelliera preferì spostare tale negoziazione al 2013, nonostante l'evidente rischio di sovrapposizione con la campagna elettorale tedesca.

Entrambi gli esempi mostrano come l'asse Merkameron sia più difensivo che costruttivo. E che se arriveranno ai propri traguardi, sarà più per i rispettivi interesse personali piuttosto che per quelli dei proprio partiti politici. Fonti interne al PPE assicurano che, a livello istituzionale, i legami con i Tories si ruppero da quando il partito di Cameron abbandonò il percorso europeo.

In questo momento Cameron deve affrontare, all'interno del suo partito, una rivolta euroscettica. Per questo la mano tesa dalla Merkel è utile all'incremento del peso britannico nell'Unione Europea. Vista dal lato della cancelliera, questo patto serve a fare da contrappeso al crescente disagio dei partner europei per la gestione alemanna della crisi dell'euro. Sopratutto Italia, Francia e Spagna.

Hollande ha voltato le spalle alla Merkel con la speranza che le elezioni tedesce regalino un socialista (nonostante i sondaggi non sembrano propendere per questa eventualità).

La relazione tra Parigi e Berlino si è deteriorata al punto che non hanno raggiunto un accordo per l'elezione della presidenza dell'eurogruppo (consiglio dei ministri dell'eurozona), che dopo la partenza di Jean-Claude Juncker spetterà al ministro tedesco o francese.


P.S: l'articolo originale lo trovate qui.
Pleased to have informed you...I still wish you a merry christmas.

martedì 25 dicembre 2012

Anche Wolfgang Schäuble, ministro delle finanze tedesco, vi augura un buon natale!!


A dose of its own medicine: Schäuble's Secret Austerity Plan for Germany

The German government and opposition are pledging higher benefits for pensioners, families and the long-term unemployed ahead of elections next year, but Finance Minister Wolfgang Schäuble is secretly planning cutbacks to prepare for a weakening economy and possible fallout from the euro crisis. 

German Finance Minister Wolfgang Schäuble has an inimitable way of misleading his listeners with a torrent of obfuscating words. When asked if the Greek bailout would cost more money, he responded: "Not necessarily," adding that there was merely "a greater financial requirement on the timeline."
ANZEIGE
It could soon be a similar story with yet another gem from Schäuble's repertoire of quotations. "Germany is clearly a gainer from the euro," as the minister likes to say. But if what his team has been writing over the past few weeks is true, Germans will soon find that their presumed winnings have transformed into losses.The government in Berlin is living in a dual reality. Strategists in the center-right coaliton parties are planning to enhance benefits for families, pensioners and the long-term unemployed in a bid to woo voters in the upcoming elections. By contrast, due to the economic slowdown, experts in Schäuble's ministry are anticipating an entirely different scenario: The next government -- no matter who will be chancellor and which parties will be in power -- won't be able to boost spending. Instead, it will have to impose rigorous spending restraint.
According to the recommendations made by Schäuble's team, in order to brace itself for the consequences of the euro crisis, Germany will have to drastically increase taxes and make painful cuts in social services over the coming years.
These ideas don't fit with the current political climate in Germany, which has been characterized for months by a passionate debate about how additional money could be used to combat poverty among the elderly and improve life for low-wage earners. Schäuble nevertheless feels that his experts' forecasts are realistic. He has expressly approved their proposals and ordered them to continue to work on the cost-cutting program. At the same time, he has ordered strict secrecy to avoid any adverse effects on his party's campaigns for the upcoming state election in Lower Saxony in January and the general election in the fall of 2013.
The Germans face a bitter déjà vu. It was only 10 years ago that then-Chancellor Gerhard Schröder of the center-left Social Democrats (SPD) and his conservative challenger Edmund Stoiber fought an election campaign that was primarily focused on social justice. After Schröder's victory, it became clear that Germany was strapped for cash. Subsequently, the chancellor introduced his radical -- and widely unpopular -- "Agenda 2010" reforms of the labor market and welfare system. This time, Schäuble's team has calculated that even deeper cuts may be needed.
 
Historic Cuts Looming

What the Finance Ministry officials have listed under the seemingly innocuous title "Medium-Term Budget Goals of the Federal Government" is nothing less than the most comprehensive austerity program in postwar German history. In order to avoid forcing the government to incur additional debt, the officials are scrutinizing subsidies, entitlements and welfare benefits worth tens of billions of euros.
There are also plans to raise taxes. Finance Ministry officials propose increasing the reduced VAT rate of 7 percent -- which currently applies to such items as food, books and streetcars tickets -- to the regular VAT rate of 19 percent. This alone would allow the state to collect an extra €23 billion ($30 billion) every year.
Schäuble's team wants to slash €10 billion from the federal government's contributions to the German health fund, which currently helps to stabilize premiums in the statutory health insurance system. At the same time, they know that Germany's statutory insurers will require more money over the coming years as the population's life expectancy increases. This has led them to consider introducing a surcharge on income tax to support the system. The experts call this a "health solidarity tax."
The plan also calls for state pension funds to do their part. At the same time, Schäuble intends to counteract the expected labor shortage. Since the baby boomer generation of the 50s and 60s will go into retirement in the future, Germans will be expected to work longer. The ministry envisages the retirement age remaining at 67, but the retirement benefit period will have "to be linked to life expectancy." In other words, the older Germans get, the longer they will have to work -- if need be, beyond the age of 67.
 
Measures to Discourage Early Retirement

In order to achieve this goal, Schäuble's team wants to make early retirement even less attractive. "Inappropriate incentives for early retirement have to be removed," they write, and they have come up with proposals for achieving this. Until now, retirees who leave the workforce before they reach the statutory retirement age have had to accept a 3.6 percent reduction in their pension payments for each year. In the future, this would be 6.7 percent.
Widows and widowers would also have to tighten their belts. Currently, the surviving spouse receives 55 percent of the deceased spouse's pension. The idea is to significantly reduce this level in the future. This initiative would annually save billions of euros for the state pension fund.
Finance Ministry officials see additional cutbacks in social services as unavoidable if the state is to spend more money in other areas, for example, on repairing roads and improving the education system. These investments would "entail stronger limitations on consumptive expenditure," as it says in the draft paper.
The proposals from Schäuble's ministry serve to tighten a regulation that has only been enshrined in the German constitution for the past few years: the so-called debt brake, which calls for the German federal government to "maintain a nearly balanced budget" starting in 2016.
The government will still be able to take out loans to some extent. In 2016, for instance, it will be allowed to borrow some €10 billion. However, Schäuble and his staff say that Germany should not completely exhaust this scope for borrowing. They want a safety buffer. "It is absolutely necessary to maintain sufficient distance to the constitutional limit during budget planning to prepare for unexpected structural expenditure and revenue developments," it says in the paper. The experts also note that they intend to safeguard the national budget against a series of risks.
One of the examples that they cite is "a sharp economic downturn." If the economy collapses, as it did in the wake of the financial crisis in 2009, experience has shown that public coffers come under considerable pressure. Tax revenues decline while expenditures, such as for the unemployed, massively increase.
This can have a devastating impact on state finances. Following the most recent recession, government debt soared from 65 to nearly 83 percent of gross domestic product (GDP). Schäuble's experts say that the country cannot withstand another similar increase in public debt and conclude that it's time to take appropriate countermeasures.
Bank Bailouts, Euro Crisis Pose Budget Risks

To make matters worse, Finance Ministry officials say that it's also possible that Berlin will have to absorb the costs of its bank bailouts. At the height of the financial crisis, the German government supported ailing financial institutions such as Hypo Real Estate, Commerzbank and WestLB with capital injections and guarantees amounting to nearly €180 billion. Large quantities of toxic assets were transferred to so-called "bad banks."
But it's questionable whether these banks will ever be able to completely pay back this money. If that is the case, the federal government will have to waive its claims and permanently absorb the debt.
Schäuble's team foresees the possibility of a similar development with the euro rescue. Indeed, "irrevocable ESM payment defaults" is one of the reasons they list for their contingency plans. Behind the bureaucratic jargon lies the concern that Germany -- despite the government's solemn statements to the contrary -- will have to pay for the euro rescue.
Germany is currently supporting the European Stability Mechanism (ESM) to the tune of at least €190 billion. A portion of these guarantees and loans could actually be lost if Greece's government creditors forgive some of the country's debt. The losses to German public coffers could then easily amount to tens of billions of euros.
Consequently, Finance Ministry officials contend that the government will have to make cutbacks elsewhere in the future. Now, in a scenario that euroskeptics have long been warning about, German Chancellor Angela Merkel's government has finally admitted, for the first time, that to balance out the impact of the monetary crisis it will have to reduce expenditure for pensioners and people taking early retirement.
Germany Didn't Impose Austerity On Itself

The paper by the Finance Ministry officials contains a further admission. The next finance minister will have to make up for what Schäuble has failed to accomplish. Merkel's most important minister forced half of Europe to submit to austerity measures while the Germans were spending money hand over fist at home.
The current center-right coalition of Merkel's Christian Democratic Union (CDU), its Bavarian sister party, the Christian Social Union (CSU), and the pro-business Free Democratic Party (FDP) ignored the opposition's warnings and pushed through a costly childcare allowance that pays mothers who stay home €150 per child per month. Starting in mid-2014, over €1 billion per year will be budgeted for this expense. Public coffers are also missing €1.8 billion every year because the FDP managed to push through a bill eliminating a €10-per-quarter copay charge for visiting the doctor or dentist, payable since 2004 by people in the statutory -- meaning non-private -- health insurance system. But perhaps the most blatant example of overgenerous public spending during the coalition's current term was the tax reduction for hotel owners, which costs the government roughly €1 billion a year. The political process that preceded each jump in spending was always the same. Schäuble grumbled audibly, but ultimately agreed.
No wonder the opposition now accuses him of having failed. "The increased revenues from the economic recovery were not completely used to reduce deficit spending," says SPD finance expert Carsten Schneider. "This government demands harsh austerity measures from other European countries," he argues, "while it lavishly spends its own tax revenues." Schäuble's team apparently has a similar view of the situation -- and even the boss himself has recently changed his tune. Schäuble says that he wants to run again in the next election, and he could even see himself serving another term as finance minister.
And, in keeping with his style, he is carefully preparing the Germans for hard times with his signature inscrutable Schäuble-speak: "We cannot allow ourselves to believe that the current positive situation is automatically secured for the future," he says. He goes on to say that sound public finances are "not a notion created by stubborn finance ministers, but rather the prerequisite for prosperity and social security." In plain language: Germany is going to start subjecting itself to some iron fiscal discipline.

Translated from the German by Paul Cohen


 

sabato 22 dicembre 2012

Pareggio di bilancio. Un po meno Italia e un po più Germania

Un nuovo passo verso il modello tedesco è stato fatto. Il traino tedesco. La felice oasi tedesca immersa nella realtà drammatica europea. Dopo l'approvazione del pareggio di bilancio nei due rami del parlamento, ci siamo inchinati, di qualche altro grado, al nord europa. Che significato dovremmo dare a questo pareggio di bilancio. Prendiamo l'esempio più semplice e diretto. Un nucleo familiare composto da quattro soggetti. Di cui due, i genitori, dispongono di un'entrata fissa ciascuno. Lo stipendio. Gli altri due individui sono i figli, minorenni, e il loro mestiere è lo studente. Se l'entrata della famiglia è 2500 euro al mese, la famiglia potrà spendere al massimo quella cifra. La pianificazione e la razionalità diventeranno compagne di viaggio stabili e durature nel tempo. Se la prossima estate la tal famiglia desidererà andare in vacanza, essa dovrà risparmiare durante tutto l'anno. Mese dopo mese. Giorno dopo giorno. Sperando di arrivare al giorno della prenotazione con i soldi necessari a pagare l'ammontare richiesto. Nel caso in cui non dovessero riuscirci, niente vacanze. Rimandate a l'anno successivo, forse. Direte voi "embè?". "Che stìano a casa". "Le vacanze non sono di certo indispensabili in un nucleo familiare". Bene dico io. Potrei pensare che siete un po acidi ma, tutto sommato, potrei anche convenire con voi. Per qualche minuto ancora. Immaginate ora un'altra famiglia in cui il padre sia un imprenditore. Sostanzialmente l'imprenditore è colui che mette in atto un progetto ambizioso, un'idea geniale o semplicemente pratica che potrebbe far cambiare radicalmente la sua vita. Purtroppo è difficile trovare un imprenditore che disponga, inizialmente, dell'ammontare necessario a far partire l'azienda, o progettare l'idea avuta in precedenza. "Embè" potrebbe dire qualcuno. "Che rimanga a fare il lavoro che faceva prima". Vado avanti. Terzo ed ultimo esempio. Un altro imprenditore, con azienda già avviata. Il mercato del suo settore è in subbuglio, poichè le aziende concorrenti, tramite il settore interno di ricerca&sviluppo, hanno sviluppato un nuovo progetto che potrebbe far ampliare le loro vendite. Il nostro imprenditore è sfortunato. Il pareggio di bilancio gli impone di non investire in quanto i suoi risparmi non sono sufficienti.

I tre esempi, estremamente banali e semplificati, rendono l'idea di due realtà ben distinte e precise. La prima di una famiglia che vuole andare in vacanza. Azione che può essere considerata non necessaria. In effetti, al più, i bambini ci rimarranno male e i genitori saranno più stressati. I pochi risparmi saranno utilizzati, se ce ne fosse bisogno, per delle sedute di gruppo da uno psicologo.
Gli altri due soggetti, invece, andranno incontro al medesimo destino. La chiusura, o fallimento se preferite. Il primo non riuscirà a veder nascere la sua azienda. Il secondo la vedrà chiudere nel medio periodo.

"Embè" potrebbe dire a questo punto qualcuno. "Le morali de ste favolette n'do stanno?"
Il concetto che si vuole far passare è che lo Stato non è il primo esempio. E' quello dei due imprenditori. Impedire allo stato di spendere ed investire solo nel momento in cui l'avanzo di bilancio permette di agire in tal modo è come mettere ad una persona una camicia di forza. E' ancora possibile deambulare, ma diventano complessi quelli che fino a prima erano semplici movimenti.
Se dovesse arrivare la crisi, quella con la C, la prima famiglia e i due imprenditori potrebbero tagliare le spese improduttive. Nella prima si eliminerebbe il caffè al bar mattutino, gratta e vinci, sigarette, il pranzo giornaliero al bar (W la schiscetta). E se ciò non dovesse bastare? La spesa familiare sarà fatta nei discount, rigorosamente al plurale. Perchè i dèpliant delle offerte diventerebbero buoni amici. L'azienda dell'imprenditore diventerà un poco più triste. Gli aumenti di stipendio saranno congelati. Le assunzioni saranno congelate. Qualche "ristrutturazione", del personale, potrebbe essere messa in atto.

E lo Stato? Lo Stato racchiude in sè gli ultimi due esempi. Esso abbraccia le caratteristiche di un imprenditore. In un momento di crisi, in cui i singoli faticano ad investire e a creare lavoro, il Governo deve poter agire, tramite gli strumenti di politica economica e monetaria, senza troppe restrizioni. Il pareggio di bilancio fa passare il concetto che solo tramite l'austerità si possono liberare le risorse necessarie per la spesa. In realtà, storicamente, questo non è mai avvenuto. Semplicemente perchè gli unici tagli che si possono fare sono quelli lineari. Quindi molto grossolani, che vanno sempre a toccare punti nevralgici e molto cari ai cittadini.

Tutto ciò ha poca importanza oramai. Da ieri siamo un po meno Italia e un poco più Germania.

venerdì 21 dicembre 2012

Self-defeating austerity?

Riporto un articolo di Dawn Holland e Jonathan Portes, postato su voxeu.org, che analizzi il ruolo dell'austerità nelle politiche economiche e monetarie dell'UE e dei suoi paesi.

EU governments have individually embraced severe austerity programmes in an effort to avoid becoming the next Portugal. This column presents results from the National Institute Global Econometric Model suggesting that these individually rational polices are leading to collective folly. Keynes’ 'paradox of thrift' is in full swing since EU nations continue to act like small open economies while in fact they are a large closed economy.

Is austerity – particularly the fiscal consolidation programmes currently under way in most EU countries  – self-defeating? DeLong and Summers (2012) have argued that, in current economic circumstances, the negative impact of fiscal consolidation on growth may be so great that the impact on debt-GDP ratios will be perverse, causing them to rise rather than fall. This question has been thrown into sharp focus by the IMF’s belated reassessment of the magnitude of the “fiscal multiplier” in major industrialised countries during the Great Recession (IMF 2012), although their methodology, which is clearly not definitive, has been questioned by Giles (2012).
In recent research, we make the first attempt – to our knowledge – to model the quantitative impact of coordinated fiscal consolidation across the EU, using the National Institute Global Econometric Model, and taking account of the current economic conjuncture (Holland and Portes 2012).
The main conclusion is:
  • While in 'normal times', fiscal consolidation would lead to a fall in debt-to-GDP ratios, in current circumstances fiscal consolidation is indeed likely to be 'self-defeating' for the EU collectively.
  • The fiscal consolidation plans currently in train will lead to higher – not lower – debt ratios in 2013 in the EU as a whole.
  • This will also be true in almost all individual EU nations, including the UK
  • Ireland is an exception.
Coordinated austerity in a depression is indeed self-defeating.

Right tactics, wrong strategy

The implication is that the current strategy being pursued by individual Member States, as well as the EU as a whole, is fundamentally flawed. Even on its own terms, it is making matters worse.
We begin by estimating fiscal multipliers in “normal” times. As in much of the previous literature, multipliers are generally less than one, and smaller for more open economies. However, with most economies currently depressed, and with interest rates at or near the zero lower bound, there are several reasons why one might expect the negative impact of fiscal consolidation on growth to be greater now than in “normal” times.
First, under normal circumstances a tightening in fiscal policy can be expected to be accommodated by a relaxation in monetary policy. As monetary policy loosens, long-term interest rates fall, stimulating investment and offsetting part of the fiscal contraction. However, with interest rates already at exceptionally low levels, further tightening of fiscal policy is unlikely to result in such an offsetting monetary policy reaction. While quantitative easing/credit easing measures have been introduced, the effects of these measures are also limited by low interest rates on ‘risk-free’ assets, and it is unclear that they have a significant impact on the risk premia attached to assets that bear a greater risk of default.
Second, during a downturn, when unemployment is high and job security low, a greater percentage of households and firms are likely to find themselves liquidity constrained. In the presence of perfect capital markets and forward-looking consumers with perfect foresight, households will smooth their consumption path over time, and consumer spending will be largely invariant to the state of the economy or temporary fiscal innovations. However, in a prolonged period of depressed activity, this is unlikely to be the case.
Finally, with all countries consolidating simultaneously, output in each country is reduced not just by fiscal consolidation domestically, but by that in other countries (through trade linkages). In the European Union, such spillover effects are likely to be large.

The impact of fiscal consolidation 2011-2013

We now consider the impact of the actual fiscal programmes announced and enacted for 2011-13 in the EU. Fiscal policy became contractionary in all countries in our sample in 2011, with the deepest consolidation measures introduced in Portugal, Ireland and Greece – the three countries on bail-out programmes. Cumulative measures over the three-year period amount to close to 10 per cent of GDP in Greece and Portugal and 8% of GDP in Ireland. Consolidation measures amounting to 5%-6% of GDP are planned in France, Italy, Spain and the UK, while only a modest adjustment is planned in Germany and Austria.
In order to assess the impact of these planned consolidation packages on GDP, the deficit and the stock of government debt, we consider two alternative scenarios. In the first scenario, we implement the policy plans detailed in Table 1, under the assumption that the economy is behaving as in ‘normal’ times, eg. with flexible interest rates that do not bind, and liquidity constraints in line with the long-run average. In the second scenario, we allow for an impaired interest rate channel and heightened liquidity constraints; assumptions we consider more realistic under current conditions.
Table 1 reports the estimated impact of the planned consolidation programmes in Europe on GDP under the two scenarios, while Table 2 reports the impact on debt-GDP ratios. These scenarios were run with all countries consolidating simultaneously, and so capture the spillover effects of policies between countries.
Table 1. Impact of consolidation programmes on GDP
Note: Scenario 1 reflects expected impact were the economies operating near equilibrium. Scenario 2 allows for heightened liquidity constraints and impaired interest rate adjustment. 
Figure 1. Impact of consolidation on government debt ratio, 2013
The negative impacts of consolidation on growth in the second scenario are much larger than in “normal” times. Moreover, the result of this in turn is that fiscal consolidation increases rather than reduces the debt-GDP ratio in every country except Ireland. This seemingly perverse outcome reflects the relatively modest adjustment to the stock of debt in the numerator of this ratio compared to the sharp contractions expected in the level of GDP in the denominator of the ratio. While the level of debt is expected to decline in most countries, the rate of decline cannot keep pace with the drop in output, leading to a rise in the debt-to-GDP ratio.
It is particularly striking that this is not just true in extreme cases like Greece; fiscal consolidation across the EU has the effect of increasing rather than reducing debt-GDP ratios in Germany and the UK as well. In both the UK and the Eurozone as a whole, the result of coordinated fiscal consolidation is a rise in the debt-GDP ratio of approximately five percentage points.
Of course, one argument frequently advanced in support of fiscal consolidation programmes is that they will reduce government borrowing premia in countries with high debt and deficits. But these simulations show that the opposite may in fact be the case: if we were to allow for endogenous feedback from the government debt ratio to government borrowing premia, this would in fact raise interest rates, exacerbate the negative effects on output, and in turn make debt-GDP ratios even worse; truly a “death spiral” .

Conclusions

It has been argued that the poor growth performance of most EU countries (including the UK as well as Eurozone countries) in the last two years cannot be primarily attributed to fiscal consolidation, given the historical evidence on its impacts. This paper suggests the contrary: when account is taken of the magnified impact of consolidation in a depressed economy, and of the spillover effects of coordinated fiscal consolidation across almost EU countries, fiscal multipliers will indeed be considerably elevated, and the impact on growth correspondingly larger.
The direct implication is that the policies pursued by EU countries over the recent past have had perverse and damaging effects. Our simulations suggest that coordinated fiscal consolidation has not only had substantially larger negative impacts on growth than expected, but has actually had the effect of raising rather than lowering debt-GDP ratios, precisely as some critics have argued. Not only would growth have been higher if such policies had not been pursued, but debt-GDP ratios would have been lower.
It is particularly ironic that, given that the EU was set up in part to avoid precisely such 'prisoner's dilemma' type problems in economic policy coordination, it should currently be delivering the exact opposite. Current policy looks less like optimal coordination – and more like a suicide pact.

Spero che abbiate gradito.
Stay tuned!


martedì 18 dicembre 2012

Italia, ufficiale pagatore d'Europa

Propongo l'articolo postato da vocidallagermania.
 
Un articolo su Der Spiegel ci ricorda che il nostro martoriato paese, in rapporto al PIL, paga il contributo piu' alto al bilancio EU. Basteranno questi dati a scalfire i soliti pregiudizi?
Prendere solamente, e non dare niente? L'Italia è considerato il piu' grande beneficiario della UE. Errore. Non sono Germania o Francia a pagare il contributo piu' alto - almeno in relazione al PIL del paese.

Ad Alexander Dobrindt piace usare parole drastiche: "Chi mette i risultati in secondo piano rispetto alle politiche lassiste del sud-Europa, minaccia l'idea stessa di Europa", scriveva il segretario generale della CSU in giugno sulla sua pagina Facebook. Parole a conferma di quello che molti pensano: nel sud amano solamente oziare, noi al nord lavoriamo duro e paghiamo anche per i loro debiti.

Tanto piu' il gioco si fa duro, tanto piu' cattivi si fanno i pregiudizi. In queste settimane si sta discutendo del bilancio EU dei prossimi anni. I presunti pigri hanno buone possibilità per pretendere piu' trasferimenti. Ma quando i capi di stato e di governo si incontreranno, sarà già chiaro chi si merita il titolo di ufficiale pagatore: l'Italia.

In rapporto al PIL, nel 2011 nessun'altro paese ha contribuito al bilancio EU quanto l'Italia. Il suo contributo lo scorso anno è stato pari allo 0.38 % del PIL, circa 5.9 miliardi di Euro. Stiamo parlando di contributi netti: cio' che l'italia riceve da Brussel è già calcolato nel contributo italiano, siano sovvenzioni per gli olivicoltori toscani o fondi strutturali per la disastrata economia siciliana.

Proprio l'Italia, il cui capo di governo Mario Monti nel fine settimana ha annunciato le dimissioni, ormai senza sostegno per la sua politica di risparmio. Proprio l'Italia, che da tempo paga alti tassi sul debito pubblico e che in passato ha sempre dovuto smentire di avere bisogno di aiuti.

Nessun dubbio sul perchè la quota italiana sia salita: il suo PIL a causa della crisi si riduce, si potrebbe argomentare. Non è cosi'. Nel 2009 in Italia, come in Germania, c'è stato un crollo del PIL. Nei 2 anni successivi - anche nel 2011 - la ricchezza prodotta è di nuovo tornata a crescere. Questo è il primo anno in cui l'economia italiana dovrebbe di nuovo tornare indietro.

E dov'è la Germania nella classifica? Anche il Belgio e l'Olanda in rapporto al loro PIL hanno una quota maggiore rispetto alla Repubblica Federale. La Germania segue con Finlandia e Danimarca in terza posizione. Certo, se si guardano i numeri assoluti, la Germania è ancora il piu' grande contribuente di Brussel - dopo tutto la Germania resta l'economia piu' grande, e anche una piccola percentuale è sempre un bel po' di denaro. Il contributo netto tedesco è di circa 9 miliardi di Euro, vale a dire lo 0.34 % del PIL.

Ma la Germania è sempre stato il piu' grande contributore netto, potrebbe essere l'obiezione. Per niente. Dal 2000 in poi a guidare la classifica sono stati i Paesi Bassi, o addirittura il Belgio, che con un debito pubblico di oltre il 100% del PIL appartiene al gruppo dei paesi problematici.

Il titolo di ufficiale pagatore segreto - e involontario - lo merita l'Italia, che dopo Germania e Francia, resta il terzo contribuente ai fondi di salvataggio. E nonostante il suo alto indebitamente non ha ancora ricevuto un cent dal fondo salva stati.

L'esempio italiano mostra che l'ammontare dei contributi netti all'EU si basa molto piu' sulle capacità di negoziazione che sulle dimensioni dell'economia. O si potrebbe anche dire: sulla sfacciataggine. Alcuni paesi hanno negoziato sconti generosi, primo fra tutti la Gran Bretagna. Altri ricevono sconti dovuti ai costi aggiuntivi causati dallo sconto britannico - l'Italia non appartiene né all'uno né all'altro gruppo.

Le condizioni speciali britanniche fanno si' che lo UK contribuisca per una piccola parte del suo PIL (0.32 %),  molto meno dell'Italia. Questo è ingiusto, secondo Mario Monti, il quale insieme alla Francia chiede di abolire per intero lo sconto britannico